Il Taccuino è una vera e propria opera di Giovanni Mascetti, che riporta dettagliatamente ragionamenti, appunti, schizzi e studi su diversi argomenti, che hanno l’obiettivo di fissare su carta un percorso in divenire che sarebbe poi sfociato in un dipinto o una scultura (o forse un racconto – come nel caso di “Caino”-).
È l’esplorazione del metodo creativo dell’artista, che dagli inizi degli anni ’80 tiene segretamente questa corrispondenza a sé stesso. La moglie ritrova dopo la sua morte le varie pagine, organizzandole in un unico corpus. I percorsi mentali dell’artista vengono messi a nudo nella lettura del Taccuino, permettendo una comprensione più profonda dell’immaginario artistico e delle opere.
Nelle ultime pagine vi sono paragrafi e schizzi di opere appena abbozzate (è il caso del “Don Chisciotte”, figura umana ma archetipo molto amato dall’artista) o ancora non iniziate, che mostrano la direzione che stava prendendo la ricerca artistica di Giovanni.
“Umano è proprio questo: assenza ideologica, privazione delle sfaccettature infinite delle proprie convinzioni.
È turgore accidioso, è l’opacità del silenzio nell’attesa di una repentina intuizione.”
“Mi appartengono il giallo, il verde e le ocra nelle loro pause e accensioni cromatiche, la campagna e le sue ore trasparenti e senza miasmi.
Mi appartengono le esplosioni uniformi di lontananze, una forza quieta e intensa.
Posseggo la nebbia paleolitica, il gioco sull’acqua e la maschera di mio padre.
È così totalmente mio che “l’organizzazione del ricordo” può costituire una tentazione alla quale è doloroso sottrarsi, e in passato ho violentemente desiderato esternare nel segno il suo messaggio esclusivo di evocazione.
Ma non custodirò l’evento presente e di domani nel perimetro incerto ma vincolante del ricordo.
Se la sua forza pura e lievitante degenerasse in concettualizzazione effimera, sarebbe l’ennesimo vizio dal quale l’esperienza si dovrà liberare.”
“Fascinazione:
immediata nella fissità come nel suo brillare contrappuntistico è un fattore insostituibile di violenza fiabesca, di forma pre-umana, che nel collage-costipazione rappresenta il nucleo atavico prima di divenire espressione soggettiva. È già esperienza prima dell’evoluzione che ci imponiamo, di rigore formale, un momento di sintesi, quindi, di difficile analisi. Un confronto non più tra voglia di fare e il controllo dei propri sensi, ma un incontro aperto ad ogni esperienza, fra le tracce intense che percepisco e l’analisi formale ricca tuttavia di abbandono.
Un compromesso dunque?”
“Scultura: legame fisico primordiale con la natura dell’elemento. Rapporto materico indissolubile col mito e i suoi destini futuri. Credo che il patrimonio di ancestrali informazioni sia oggi più prezioso che mai. Gli impulsi irrazionali come le intuizioni animalesche e pure sono la mia fascinazione. Amo e penetro queste frazioni di indefinito. L’inverno della razza li giudica esiziali ai fini della sua attuale cultura tecnologica.”
“Pittura: il rapporto fisico si attenua per una evocazione più visiva e intellettuale. La finzione del piano privilegia un godimento del segno e del colore tanto maggiore quanto più la pittura si affranca dal supporto della descrizione e della letteratura. La realtà oggettiva del colore puro avvicina la pittura alla scultura e alle sue maggiori possibilità evocative.”
“Poesia: alcuni sensi, con immediatezza e con più efficacia di altri, e sempre con piacevole violenza emotiva, mi aprono nella mente cunei di frammenti vivissimi sepolti nello stato contingente di noia accidiosa. Una situazione indefinibile ma “mia”, un volto, la consapevolezza dell’ora e del luogo, l’inerzia come il movimento, diventano reali perché già conosciuti, tramite l’udito e l’odorato, prima che la vita e l’esplorazione tattile dello spazio circostante. La poesia è tutto questo, perché l’odore di un cibo dimenticato, il suono come il silenzio, esistono con prepotenza nella mente nell’attimo reale in cui la parola scritta si manifesta.”
“La materia libera nello spazio le sue necessità di agglomerati e di colori, e lo spazio esiste in virtù di questo fermento, naturale ed artistico. Nell’opera d’arte esiste quindi una simbiosi perfetta con enormi quantità di interrogazioni reciproche.”
“Forse è bene parlare di un “tempo artistico” vissuto fatalmente dal pittore in un unicum pieno e gratificante, e di un “tempo sociale” nel quale la opera d’arte è sottratta all’esperienza e diventa esame e discussione nella cultura dominante. Dei due, “l’intensità culturale” della seconda metà del nostro secolo ha indubbiamente guastato il tempo sociale sottraendolo ad una autentica cultura per una programmazione di consumo che ben poco spazio lascia allo studio e all’inserimento vitale dell’opera d’arte in una vera autonomia culturale.”
“IL PARADOSSO DELL’ESSERE: ovvero le certezze subito sposate nella onirica incoscienza esistenziale degli anni giovani che via via assumono confini ambigui nell’evidenza di ciò che resta.
Poi la grande fuga onirica si ferma lassù “in cima alla memoria” nelle disillusioni di un protagonismo amorfo.
Colui che non invecchia si arricchisce. Colui che non invecchia purifica i sogni da obsoleti intralci dogmatici e li alimenta.
Egli sa e accetta la reale evanescenza della mente, la interroga e la nutre, mortificando le contingenze.”
“La morte, ovvero la concretezza di una intuizione in confronto all’astrazione dell’ideologia: la verità di un frammento e l’incognita di annose dottrine escatologiche.”
“Il Disegno è una sezione ritmica colma di tracce, calpestii e accadimenti.
Il Disegno come spunto per l’improvvisazione informale. La sua forza evocativa come naturale antidoto all’abitudine e al già vissuto.”
“Tutto quello che è passato nella vita di ognuno non è mai definitivamente morto. A distanza di molti anni le cose disperse possono ripresentarsi a commuovere, a spingere, a definire nell’arco di una frazione i limiti del meraviglioso, del nuovo. La realtà dopotutto è una sfera che non ci appartiene, e il passato non è ora più reale dell’alba di domani.”
“Mancanza di stimoli = vuoto creativo.
Mi accorgo, dopo due anni di quasi totale inattività (mi riferisco alla pittura) di aver sopravvalutato l’incentivo esteriore al mio bisogno d’espressione.
[…] Tuttavia questi due anni […] mi hanno permesso, attraverso il rapporto con la scultura (taumaturgo – idolo occidentale), di approfondire alcune relazioni fra la tematica della figura eretta, la cui sintesi migliore è l’idolo nero (L’Oscuro), e la sua propulsione mitica e ancestrale attraverso linee asciutte e volumi essenziali, concavi e convessi, giustamente compenetranti. Questa ricerca, anzi bisogno di sintesi e di astrazione operata sul volume, è venuta via via cambiando anche il modo di intendere il rapporto con la superficie piana, col foglio di cartone o tela che sia. Oggi dunque mi rendo conto che questa parentesi lunga, accidiosa e priva di stimoli non è stata altro che la solita pausa nel costante proseguimento di ricerca di nuove espressioni. Per nuovi sviluppi l’espressionismo informale non basta più, è soltanto una molecola compositiva in un disegno forse più meditato, più pacato.”
“Per colui che affida al colore e alla scultura i problemi formali di antiche e nuove fascinazioni c’è un momento nel quale diventano impossibili soluzioni istintive, talvolta occasionali anche all’interno di un “periodo”. Inaridisce il felice ed estemporaneo supporto alle ragioni dell’intuizione ed è inutile l’insistenza come metodo.”
“Studio della linea curva: la curva penetra lo spazio, là dove la retta lo limita. La curva cattura lo spazio, è la nemesi del tempo. Lo scultore che si cimenta con la linea curva sfida le sue possibilità.”
“Il bianco è l’assenza del colore, il nero ne è il trionfo, poiché dispensa a poco a poco nelle metalliche iridescenze tutto il colore in precedenza “BEVUTO”.”
“Cos’è, nella stagione di un artista, nell’escursus spesso incomprensibile nella sua natura, il senso oscuro che guida la sofferenza, l’incomprensione, il bisogno di esprimersi? Penso che sia sommamente condizionante la nostra proiezione nei giorni futuri, nella voragine di sofferenza ed emarginazione che attende ogni uomo. Nella presenza, per l’artista, di una consapevolezza eroica della propria fine sta il superamento per sé stesso dell’ambito artistico della propria dimensione per trasmettere ad altri il messaggio che vivere significa “allontanare con forza la propria fine: creando”.”
Appunti sul “Don Chisciotte” ritrovati postumi
Annotazioni ritrovate postume
DON CHISCIOTTE – scultura polimaterica (plastica – mastice – ferro – alluminio)
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È comprensibile come la cultura romantica abbia svilito l’approccio a tale capolavoro. Il falso storico di una interpretazione che esalta l’opposizione della luce all’ombra più cupa, il contrasto di un ideale alle ragioni più naturali di una realtà che si fa tragedia.
Comprensibile perché il tragico romantico ha bisogno di forti tinte per proporsi, falso perché non ho trovato neanche l’ombra d’un risvolto tragico in questa saga del meraviglioso, e tanto meno le ragioni di una scissione tra realtà e ideale.
Ad un tratto la follia della “triste figura” incalza il buon senso dell’uomo Sancio, ma appena più in là il rovesciamento delle parti oppone alle assurde pretese dello scudiero l’inaspettata e infinita saggezza di Don Chisciotte.
È un gioco di specchi, una musica barocca che fa danzare la vita coi suoi alti e bassi, i suoi falsi scopi, l’armoniosa ironia senza la quale le figure di questa rappresentazione non sarebbero in grado di emergere.
Figure simbolo della condizione umana, la “triste figura” e lo scudiero.
Due metà forti con le proprie individualità letterarie, ma pensieri affatto diversi della stessa mente.
TRATTI SALIENTI
- 1 Condizione precaria
- 2 Coerenza addomesticata (quanto in buona fede?)
- 3 Senso di impotenza, forse generato dal giusto scorrere del tempo scandito inesorabile come il giorno e la notte
- 4 Condizione eroica dell’infinita sopportazione del quotidiano
- 5 Ansia e culto dell’azione come condizione mentale, irrisolta nella realtà.
La “triste figura” di stampo romantico (…) diventa così improponibile non più coerente con la lenta, ma intensa sublimazione di questa unica persona.
I 5 punti descritti sintetizzano una figura che sembra cavalcare (o nascere) da una sedia (cavallo). L’attore è Lui: la “Triste figura” che cavalca la propria impotenza (staticità del supporto) a risolvere il più arduo dei problemi: l’esistenza. L’ansia precaria traduce la figura dallo schienale (calma, meditazione) a sbalzo verso l’interlocutore.