Giovanni Mascetti
Nato a Inveruno (MI) il 19 marzo 1947 e ivi deceduto il 29 ottobre 1990
Giovanni Mascetti nasce in una famiglia di contadini che vive di quello che produce: uova di gallina, latte della mucca, verdura dal pezzo di terreno agricolo raggiungibile a cavallo.
Il maestro elementare però manda a chiamare i genitori per esortarli a fargli continuare gli studi perché << è un bravo studente e ha doti notevoli >>. Giovanni continua con le scuole medie e poi viene indirizzato ad una scuola tecnica di geometra presso l’Istituto Einaudi di Magenta.
Vince anche borse di studio per poter continuare l’attività scolastica.
L’insegnante di educazione tecnica, dai suoi disegni molto particolari, intuisce che Gianni ha delle qualità pittoriche e una certa attitudine. Esce dalla scuola con ottimi voti.
Durante le vacanze estive il prete di Inveruno, Don Rino Villa, che ha visto in lui un probabile artista ma anche un ragazzo serio e affidabile, gli permette di organizzare in oratorio una mostra dei suoi quadri: Giovanni espone diverse opere figurative e le vende tutte, ricavando un gruzzolo che gli servirà per gli studi negli anni futuri.
Nel 1965, a 18 anni partecipa ad una importante mostra: il premio di pittura estemporanea “Vecchia Inveruno”. Gianni realizza il quadro “La vecchia fornace” e viene premiato dal maestro Gregorio Sciltian. Si trova riscontro della vicenda sul libro “Inveruno ieri e oggi” fotolibro di Peppino Airoldi (Ed. Landoni/Comune di Inveruno, 1983) e successivamente nel libro “Storia del mio paese Inveruno – Dal 1961 al 2011” di Carlo Colombo (Ed. RaccoltoEdizioni). Il quadro è tuttora esposto in municipio a Inveruno, alle spalle della scrivania del Sindaco.
Gianni, dopo essersi diplomato geometra, comincia a lavorare alla EDILPA di Arconate, ditta di costruzioni edili, dove si trova a lavorare insieme a Piercarlo Poretti, cugino della futura moglie, che incontrerà nell’agosto del 1967.
Nel dicembre 1967 partecipa con l’opera figurativa “Campo di granoturco” al concorso di pittura “Prime Pennellate” a Cuggiono e riceve il 2° premio, una medaglia di Vermeille.
A gennaio del ‘68 parte per il servizio militare: 3 mesi di CAR a Spoleto e trasferimento come sergente a Gorizia, dove viene congedato nel Maggio 1969.
Il dottor Francesco Virga, medico storico di Inveruno, apprezza da sempre il lavoro di Gianni: lo incentiva affinché prosegua con la sua arte e negli anni ‘70 chiede aiuto al creativo geometra quando organizza il giardino della sua grande villa. Dopo la scomparsa di Gianni è proprio il Dott. Virga ad appoggiare la richiesta della moglie di realizzare una mostra personale ad Inveruno.
Già dai primi anni di attività artistica si evince che Giovanni non è solo un ottimo disegnatore e pittore, ma ha un’attitudine nel capire molto velocemente i processi. Ciò gli permette di operare in molti campi, con ottimi risultati. Dalla progettazione alla falegnameria (molte elaborate cornici dei suoi quadri sono realizzate da lui); negli anni successivi sperimenta la lavorazione dei metalli per fini scultorei realizzando gli intricati scheletri delle sue opere.
Amante della montagna e del mondo rurale e naturale comincia molto presto ad interessarsi alla botanica e ai bonsai, creandone decine negli anni.
Scrive poesie, soprattutto negli anni giovanili, sostituite successivamente da elaborati testi di concetti, sintesi di pensieri e relazioni tra le cose, che troveranno nel “Taccuino” un “imbuto” in cui far confluire il suo pensiero sull’arte e sul mondo.
Nel maggio 1970 Gianni e l’amico Paolo Paparo (anch’esso artista di piccole figure lignee) ripuliscono la vecchia serra nel parco di Inveruno per organizzare una collettiva di pittura e scultura, a cui partecipano, tra gli altri, Silvio Crespi, Nicola Gagliardi, Giuseppe e Filippo Villa.
Nell’ottobre dello stesso anno Giovanni subisce la perdita del padre Vittore a causa di un tumore al cervello.
Gianni ne soffre molto, anche perché nel ‘68, mentre era a militare, era deceduto anche il nonno paterno a cui era molto legato; perde così, nell’arco di due anni, ogni riferimento maschile in famiglia, proprio nei momenti più delicati della costruzione della sua vita professionale e personale.
Nel 1970 Gianni inizia il lavoro alla SNAM a San Donato Milanese, che manterrà sino alla sua prematura scomparsa.
Apporta modifiche alla sua casa con l’intenzione di sposarsi, cosa che avverrà il 21 giugno 1975 con Piera Angela Pisoni di Arconate. Nel 1976 nasce il figlio Armando, seguito da Davide nel 1980.
Nonostante l’impegno famigliare, la mente di Giovanni è costantemente attratta dall’intenso bisogno di arte e trova sfogo in una serie di dipinti e disegni che affinano il suo stile pittorico.
La sua continua ricerca lo porta progressivamente ad uno stile più colto e introspettivo, che raffigura l’uomo, il suo posto nel mondo e la sua condizione in una società in continuo cambiamento.
Negli anni ‘70 sperimenta anche l’arte scultorea, colando inizialmente un blocco di graniglia che scolpisce come fosse marmo, realizzando “Sposa con bouquet”; successivamente una “Testa Pilota”, plasmata assemblando cementi e materiali poveri e di scarto.
Nella sua ricerca, che contempla un grande interesse anche per la letteratura, il mito greco e la posizione dell’uomo nel mondo, comincia a prendere forma il concetto dei “Loricati”; realizza parecchi quadri sperimentando diversi materiali (tecniche miste unite a sabbia, materiali di scarto, colle, affumicature) progredendo nello stile che da figurativo si sposta progressivamente verso l’informale, il concettuale e l’astratto.
Molti quadri dei primi anni ’80 hanno temi che spaziano da ricordi personali rielaborati alla posizione dell’uomo in un cosmo capitalista, che sta rapidamente modificando un mondo che avanza sempre più velocemente.
Una delle prime sculture è un Loricato in cui inserisce oggetti poveri recuperati, come un mestolo, una falce, un osso di animale, i rebbi di una forchetta.
L’esito finale è un passo importante della sua arte, in cui si lascia alle spalle il concetto prettamente figurativo, rielaborando le forme del loricato in cui si intravedono i prodromi della sua successiva ricerca sugli spazi concavi e convessi, che sono una delle caratteristiche della sua scultura.
È il periodo in cui sperimenta la saldatura, attività che continuerà per tutta la vita, unendo pezzi di rottami (resti di erpice, una falce da fieno, una vecchia ruota di cannone riciclata precedentemente in un carretto agricolo, un cranio di cane…) e realizzando il “Fossile”, opera che Gianni amerà particolarmente. Nella sua ricerca spesso riaffiorano i temi contadini della sua infanzia, stilisticamente incanalati in un processo di modernità delle forme.
Dal 1981 inizia a elaborare dei testi a chiarimento del suo rapporto con l’arte: nasce così il Taccuino: 20 fogli di 50×40 cm scritti solo con la sua stilo, densi di disegni, bozzetti, commenti ad articoli di giornale, un lavoro introspettivo dell’artista che esplica però la sua visione dell’arte e la fa crescere, in un continuo rimando di relazioni tra il passato realizzato e le aspirazioni future; possibili percorsi in un mare di opportunità.
Procede alternando pittura informale e opere scultoree. È questo il periodo, che riempie il prossimo e purtroppo ultimo decennio, in cui l’aspetto esterno delle sculture assume una colorazione nera, uniforme e finemente levigata, lucida di cera, come un guscio impermeabile e criptico ad una prima visione.
Nel 1983 partecipa ad una mostra sulla resistenza, organizzata dal Comune di Busto Arsizio, con un quadro intitolato “Stendardi”, ottenendo il riconoscimento della critica.
Nel 1984 presso l’aula Bachelet ad Inveruno, partecipa ad una rassegna di pittura/scultura collettiva; anche qui le sue opere attirano l’interesse dei più esperti.
L’amico Giovanni Paparo invita il Prof. Monteverdi dell’Accademia di Brera a visionare le opere di Gianni per eventualmente avere un suggerimento su come agire per delle pubblicazioni. Il Prof. Monteverdi consiglia di vendere il più possibile; con questo intento vengono spedite le foto dei quadri ad un rappresentante di tessuti nel napoletano, conoscente di lavoro della moglie, il quale riesce a collocarne una ventina.
Dopo il 1984 la sua attenzione si rivolge soprattutto alla scultura, andando progressivamente a diminuire la produzione di quadri a favore di studi e bozzetti per le opere tridimensionali. Lavora – come ha sempre fatto – contemporaneamente a più sculture; nel suo studio vengono accatastate diverse opere a più stadi di lavorazione, in attesa che l’artista trovi il momento perfetto per procedere nella finalizzazione. Questo è il motivo per cui alla morte di Gianni quasi metà della sua produzione risulterà incompiuta. Alcune sculture praticamente finite, altre appena abbozzate.
Domenica 12 marzo 1989, a Torino avviene la premiazione della 13° edizione de “La Telaccia D’Oro” indetta dalla galleria d’arte La Telaccia, dove Gianni ottiene il 3° posto per la scultura “L’oscuro”. Questo premio rinforza la sua autostima e il suo convincimento di essere sulla strada giusta. In quest’anno partecipa anche all’EURO ART EXPO ROMA, al quartiere fieristico, con 5 sculture. Gianni, con la moglie e il figlio Armando, si concedono qualche giorno andando in treno a Roma per vedere come sono state ubicate le opere e osservare lo stato dell’arte contemporanea in questa grande rassegna con centinaia di artisti.
L’anno successivo (1990), alla 14° edizione di “Come vedono gli artisti il 2000”, partecipa con il quadro “Memoria del paesaggio” e nuovamente viene premiato, al 2° posto. La direttrice della galleria Giuliana Papadio è semplicemente attirata dalla sua opera e gli propone di fare una personale, che si svolge dal 19 al 29 gennaio 1990, con la critica di Aldo Spinardi.
Nel frattempo anche la Galleria Magenta (nell’omonimo Comune milanese) si sta interessando alle opere di Gianni e principalmente alle ultime sculture, in cui l’affinamento della tecnica e l’evoluta introspezione dei messaggi sono più evidenti. Il gallerista propone di effettuare la produzione in bronzo in numero limitato di copie, ma Gianni non è molto d’accordo: considera l’intervento di mastri artigiani nella realizzazione del calco a cera persa e successive lavorazioni forse un’intrusione nella sua opera estremamente personale.
Purtroppo col suo decesso il 28 ottobre 1990 (tuttora registrato come 29 ottobre perché domenica in tarda serata) si ferma tutto. Ma il timore della moglie Pierangela che tutta l’opera dell’artista finisca dimenticata la spinge a fare una catalogazione di tutto il materiale da lui prodotto. È un lavoro immenso, anche perché Gianni teneva per sé molti dettagli e particolari del suo lavoro, un po’ per la sua indole schiva e riservata, un po’ perché non si aspettava una fine tragica. Un esempio è il Taccuino, che Pierangela scopre e mette insieme dopo la morte del marito.
Nel 1991 tramite Nino e Mariuccia Colombini, appassionati d’arte, con la benedizione del Dott. Virga, il comune di Inveruno concede di realizzare una mostra personale dedicata all’artista, invitando il prof. Luigi Cavadini di Como. L’esposizione nella bella sala delle volte della biblioteca inverunese diviene un successo di pubblico.
Nel 1996 viene realizzata una mostra antologica, con la critica di Gianfranco Maffina di Varese. A visitare la mostra viene il Prof. Silvio Zanella della Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, il quale scrive sul registro a disposizione dei visitatori: “Mostra molto interessante, mi ha colpito…. Sarei molto lieto di avere una di queste opere nella sala dell’arte surreale della Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate”. Così, in data 11 Gennaio 1997, viene inserita nel catalogo della Galleria (che successivamente diventerà il MAGA) “L’idolo occidentale”, la scultura più grande (167x103x70cm alla base) realizzata da Gianni, in ferro e legno, registrata al N. 762.
Negli anni successivi opere dipinte e sculture vengono esibite in diverse mostre e collettive d’arte sul territorio dell’Altomilanese.
Dopo tanti anni, in cui la gran parte delle opere di Giovanni Mascetti sono state interdette al pubblico e custodite nelle case dei famigliari o di chi ha acquistato le opere, questo sito mette ora insieme buona parte della sua produzione e in futuro i figli dell’artista aggiorneranno il più possibile la catalogazione, cercando di recuperare documentazione delle opere vendute e di cui non si ha – per ora – materiale fotografico.